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in frantumi nelle statue, che ancora deturpano i musei.
Pericle, che beveva assai volentieri discutendo, non misurò più le sue parole:
— Ah! sì? Abbruciare i poemi di Omero e di Virgilio? Distruggere le statue di Fidia e Prassitele? Starebbe fresco lei, don Vitale! Giunone scomparirebbe abbracciata a Sant'Anna, Marte trascinerebbe nella sua rovina San Giorgio, e il Paradiso si spopolerebbe, perchè ogni Santo è sorto dal piedestallo di una sopraffatta divinità dell'Olimpo.
Non tutti i commensali dettero uguale peso alle parole demolitrici del giovane Pericle. Domitilla Rosa levò gli occhi al cielo e sorrise, alzando in cuor suo inni a Gesù che aveva fatto fiorire di santità empie colonne e profani obelischi; Vanna sorrise anche ella, crollando il capo indulgente, e limitandosi a moderare con gesto garbato la foga soverchia di Pericle; don Vitale ammutolì e scorse nei sacrileghi paradossi di Pericle la conferma delle proprie opinioni: bisognava adoperare ferro e fuoco nei seminari, e la tolleranza, la così detta superiorità di monsignore portavano i loro frutti: il venerabile Seminario di Orvieto si riscaldava le biscie in seno, ed i chierici, spogliata la sottana, entrati appena nel secolo, si facevano banditori di eresie; era doveroso informare di ciò il capo della diocesi.
Ma Ermanno, pallido, rifletteva con vivo sgomento: non era dunque lecito iniziare la più innocua discussione?