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Vanna prese una scatola dall’armadio e la porse al bambino, che l’afferrò, la scoperchiò e ne trasse una statuetta di cera, vestita da chierico, con la sottana di seta e la cotta di pizzo. La statuetta teneva un giglio nella mano ed aveva la faccia compunta, il collo piegato verso sinistra. Ermanno l’ammirò e la riconobbe subito per la immagine di un San Luigi Gonzaga, il santo giovinetto che don Vitale gli suggeriva d’imitare, esaltandone la devozione e la purezza.
Vanna, seduta, contemplava il bimbo con faccia amorosa.
— Ti piace? — gli chiese.
Certo, a Ermanno la statuetta piaceva, perchè era di cera dipinta e perchè indossava una cotta di pizzo; ma, senza osare di confessarlo, egli provava un senso di amara disillusione. Le immagini dei santi vanno conservate con molta cura, ed egli avrebbe preferito un regalo da sciupare: un fucile, un vapore, magari un pulcinella, che si movesse da sè.
Vanna ne indovinò il rammarico.
— Rifletti. Pensa che sei grandicello — gli disse, accarezzandogli le gote — Domani compirai nove anni, e adesso i giuochi non bastano più. Bisogna diventar serio e imparare.
Ermanno teneva la statuetta sopra la palma della mano e rifletteva, guardandola. A un tratto chiese:
— San Luigi Gonzaga, quando era vivo, camminava sempre con un giglio in mano?