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Forse per questa sua colpa, per la sua debolezza pietosa verso «madamigella grano di pepe», piccola, ignara tentatrice, Ermanno non fu degno che il miracolo del palazzo che trema si rivelasse a lui.

Dopo la processione, Domitilla Rosa giurava con voce di appassionata riconoscenza che l'albergo aveva tremato dalle fondamenta, ed essa giurava il vero, poichè tutto l'essere suo si era scosso al passaggio della santa reliquia e Domitilla Rosa aveva veduto tremare i muri cogli occhi della sua fede; anche don Vitale giurava con rabbia, protendendo i pugni, di aver sentito la terra tremargli sotto i piedi; ma egli mentiva, consapevole della menzogna; mentiva e spergiurava per l'onore della Chiesa.

— Dimmi che hai veduto; pensaci, ricordati e ti convincerai di aver veduto - don Vitale diceva al Monaldeschi la sera stessa.

— No, no, non ho veduto niente - Ermanno ripeteva desolato, incapace di asserire il falso, rifuggente per indole dalla menzogna.

— Allora vuol dire che tu sei in istato di perdizione. Confessati - e don Vitale scomparve a gran passi, incollerito al pensiero che i regolamenti del seminario vietassero d'imporre il cilicio ai chierici tepidi e dubbiosi.

Ermanno si presentò contrito a monsignore.

— Vorrei confessarmi - egli disse. - Ho paura di essere in peccato mortale.

Monsignore lo guardò con occhio di tenerezza dolente.