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nello studio, osservò che il sacerdozio è uno stato di eccezione e che la vita laica è anch'essa ricca di virtù cristiane.
Inutilmente! Vanna si ostinava a ripetere che il figliuolo aveva scelta la via del sacerdozio di propria libera elezione, mentre Ermanno gli si aggrappava ai fianchi chiamandolo padre e implorandolo con occhi supplici di prenderlo in seminario.
Come opporre un deciso rifiuto?
Egli non poteva, molto più che don Vitale, presente al dibattito, gli lanciava occhiate torbide, piene di stupore e di riprovazione. Tutti sapevano che don Vitale entrava spesso furtivo al vescovado, intrattenendosi, egli, il bestione zotico, in misteriosi parlari col capo supremo della diocesi, e dopo tali colloquii monsignore veniva generalmente invitato a pranzo dal vescovo, e riceveva, fra parabole e circonlocuzioni, consigli di rigidezza maggiore e di zelo più intraprendente. Gli fu dunque forza chinare il capo, e d'altronde l'ammissione di Ermanno in seminario iniziava una carriera, non la rendeva irrevocabile, e il tempo è un correttore insigne di errati propositi.
Il nobile signorino Ermanno Monaldeschi compiva giusti dodici anni e cinque mesi allorchè, in una rigida mattinata di novembre, all'imperversare della tramontana e mentre il buon Maurizio batteva furiosamente undici colpi sopra la campana della torre, venne accompagnato in seminario da lungo e mesta corteo, a cui «madamigella