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— Il topo è piccolo, ha paura - e Serena esprimeva nella voce incomparabile disprezzo verso la povera bestiolina inetta, che aveva la colpa di lasciarsi divorare.

— Già, il topo è piccolo, il gatto è grosso; per questo Marcantonio non avrebbe dovuto mangiarlo - Ermanno osservò gravemente.

Serena si mise a ridere, e cominciò a ballare, manifestando con grida il suo entusiasmo per l'astuzia e la forza di Marcantonio, lo scherno suo per la stupida inferiorità del topolino.

Ermanno la guardava iroso, pensando ch'ella era di cattivo cuore a insultare così i più piccoli ed i più deboli, ma pur provando in sè la smania di cimentarsi in difesa dei miseri, nutriva orgoglio nel sentirsi forte, e molto gli sarebbe doluto di sentirsi debole. Chi dunque aveva ragione? Serena di celebrare con le sue danze la vittoria di Marcantonio o egli stesso di biasimarne la crudeltà?

Frattanto l'inverno una volta ancora era passato e le chiome degli alberi per una volta ancora si ornavano di ciocche aulenti, la facciata del Duomo riviveva, i volti degli apostoli si riaccendevano di fervore, i volti dei profeti ardevano di sdegno, i volti dei patriarchi si adornavano di austerità meditativa, e i Santi, le Sante, la Vergine Beata ascoltavano con dolcezza il gridìo delle rondini loquaci e si lasciavano accarezzare con mansuetudine le vesti aurate dal frullìo turbinoso delle brune ali.