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contato che tu non hai dormito affatto e che sei stato disubbidiente.
Ermanno non si turbò; egli sapeva per esperienza che il topolino della mamma era un animaluccio assai discreto, il quale si contentava di narrare ciò che la mamma sapeva o indovinava da sè. Tuttavia valeva assai meglio non ostinarsi nella menzogna.
— Non ho dormito perchè non avevo sonno — egli confessò — e allora ho fatto il cane. Ho fatto il cane qui nella tua stanza; ma tu non ti sei svegliata.
Vanna gli baciò con fervore i lunghi capelli inanellati e rise forte in uno scatto di giocondità da molto tempo insolita.
Ermanno si era infilata una blusa alla marinaia sul camice da notte, e il camice da notte, scendendogli dai fianchi a foggia di vesticciuola, lo faceva somigliare a una vezzosa ragazzina.
— Quanto sei strano! Sembri mascherato — Vanna gli diceva e seguitava a ridere.
Anche Ermanno rideva, ed anzi si dette a correre, facendo svolazzare le pieghe del camice, acciocchè la mamma ridesse di più.
Vanna invece ridiventò seria, si avvolse nella mantiglia ed alzandosi dalla poltrona disse al bimbo:
— Andiamo a fare le nostre preghiere.
Entrarono, tenendosi per mano, nella cappella attigua alla stanza e Vanna si prostrò sull’inginocchiatoio, collocato davanti all’altare, che occu-