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sua vecchiezza. E Vanna ricordava anche di aver veduto qualche cosa di simile nei larghi fogli del volume che Gentile leggeva spesso, dimostrando ineffabile godimento: un re scettrato in riva al mare; persone gesticolanti intorno a un rogo e una giovanetta bellissima, rovesciato il petto, mentre il braccio di un guerriero si alzava contro di lei, armato di corta daga. «È il re Agamennone - Gentile le spiegava. - Egli deve sacrificare la figliuola Ifigenia per placare l'ira degli dei.
Vanna, ripensando a ciò, si stringeva le tempie nelle palme. Dunque gli uomini avevano sempre commessi molti peccati, e lassù, in cielo, non albergava indulgenza verso di loro? Non osava ricorrere per consiglio a monsignore, il quale, allorchè ella gli sottoponeva taluni suoi scrupoli, si velava in volto di una tenera pietà, che ridestava in lei spiriti di alterezza. Era gentildonna, nasceva Montemarte, portava il nome dei Monaldeschi, non voleva pietà da nessuno, nemmeno da monsignore. Se ne aprì invece una domenica con Domitilla Rosa; ma Domitilla Rosa, attonita, non comprendeva.
Di che cosa fare olocausto all'Onnipotente?
E come mai la signora Vanna, tanto nobile e pia, poteva sragionare così? Di che cosa fare olocausto? Di ogni pensiero, di ogni affetto, di ogni minuto, di ogni impercettibile azione, di ogni ricordo, ogni speranza, ogni desiderio! Non c'era atto, il più insignificante, della vita di Domitilla