Pagina:Tartufari - Il miracolo, Roma, Romagna, 1909.djvu/182

CAPITOLO VI.

Trascorso appena un mese, Vanna avrebbe desiderato accostarsi ancora al tribunale della penitenza, giacchè mai come in quell'inverno umidiccio e fosco la sua anima si era invischiata così fra dubbi e tristezze. Tutto era opaco; la piazzetta Gualterio somigliava a un piccolo stagno dalle acque cenerognole; da via Luca Signorelli la musica di don Vitale sembrava l'ululato furioso di lupi famelici nella notte e, sotto l'arcata, il calzolaio gobbo tirava lo spago con celerità automatica, allargava le braccia, chinava la testa, mentre Vanna lo contemplava attraverso il velo della pioggia, provando una sospensione al respiro se il gobbetto per poco allentasse il moto delle lunghe zampe. Pareva un brutto ragno, eppure doveva essere allegro, perchè zuffolava da mattina a sera e, battendo il martello, s'intratteneva con i chiodi e le suole fraternamente.

— No, chiodo mio, tu devi entrare; e tu, suola mia, tu non ti devi muovere! Ecco, chiodo,