Pagina:Tartufari - Il miracolo, Roma, Romagna, 1909.djvu/180

La cappella ottagonale risuonava di accenti sommessi e dolenti sospiri.

Monsignore taceva, e Vanna avrebbe potuto dubitare perfino della presenza di lui, se un piede aristocratico, stretto in una scarpetta lucente, non si fosse affacciato dalla parete sottile di legno, sfiorandole quasi le pieghe della veste di seta scura.

A un tratto la scarpetta lucente ebbe un guizzo, come di serpentello ferito, e si ritrasse con rapidità. Allora monsignore disse aspro:

— Lei troppo si compiace nella rievocazione delle sue colpe Ne allontani da sè il ricordo con orrore e disgusto.

Poi, dopo un attimo di silenzio, le parlò autorevolmente persuasivo, nella sua limpida loquela senese:

— Si occupi del suo caro bambino, sorvegli l'andamento della sua casa, rifugga dall'ozio e serva il Signore con pacata allegrezza.

Vanna supplicò, gemendo:

— Non mi abbandoni, padre mio - e appoggiò sconsolatamente la fronte sopra la bucherellata lamina di ferro per modo che le ciocche de' suoi capelli odorosi sfioravano quasi le gote di monsignore.

Egli le impartì l'assoluzione con gesto affrettato, si spogliò della stola con furia non solita in lui e sparì, come inseguito, chiudendo dietro di sè la porta della cappella.

Vanna, rimasta sola, alzò le braccia verso l'altare,