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della eco, quando la eco ripete con fedeltà schernitrice le parole che non sono più.

Vanna si accasciò in una poltrona di fronte allo specchio, e rimase tutta ripiegata sopra di sè con le dita immerse nell’onda viva de’ suoi capelli. Non voleva più pensare, non voleva più ricordare. Da venti mesi il dolore la sollevava, la sbatteva, come il mare in tempesta fa di una barca senza più vele, e Vanna stanca di sentirsi così in balìa di una forza avversa, non girava più il capo indietro ad invocare il lido dond’era partita; ma spingeva l’occhio in avanti alla ricerca di altri lidi remoti ancora, ancora velati, forse irraggiungibili, forse anche inesistenti.

Nell’atto, la mantiglia di mussolina era scivolata e Vanna sentì qualche cosa di vivo camminarle sopra la spalla nuda. Guardò, sorridendo, nello specchio e vide Ermanno, che le tracciava geroglifici lungo la cute con la punta delle dita.

— Hai dormito? — ella chiese, prendendo nella sua la piccola mano del bimbo per tenerselo fermo accanto e poterlo accarezzare.

Ermanno, con un occhio aperto e l’altro chiuso, rispose che aveva dormito tanto, che, per metà, dormiva ancora; ma Vanna candida e maliziosa, comprendeva le astuzie del suo bambino malizioso e candido.

Lo minacciò dunque coll’indice e gli mosse rimprovero.

— Perchè dici bugie? Il topolino mi ha rac-