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— È finita, è finita! Bisogna che tu parta. Oh! Dio! È finita!

— Che cosa accade? - egli ripetè, sgualcendo impaziente nelle mani il cappello di feltro bigio. - Chi ti monta la testa così?

— Nessuno, ma è finita! Si chiacchiera, si maligna. Il mio nome è di scherno. Oh! Dio! Oh! Dio! - e nel suo smarrimento, si aggrappò con le dita convulse alle spalle di Fritz Langen.

— Bada - egli disse - qualcuno potrebbe entrare.

Vanna si scostò con terrore, si lasciò cadere sopra una seggiola e si dette a singhiozzare, premendosi alla bocca il fazzoletto per attutire il suono dei singhiozzi.

Egli si avanzò, si chinò verso di lei, e amorosamente le disse:

— Non posso vederti così, mi fai male. Non piangere, Vanna. Cosa vuoi da me?

— Devi partire subito da Orvieto.

— E non vederti mai più? Se io parto sarà per non tornare.

— Già, per non tornare - Vanna implorò, fissandolo con occhi lacrimosi e divenendo eloquente nel perorare la causa del proprio martirio.

Egli si era stabilito in Orvieto per pochi mesi e ci si trovava oramai da dieci; lassù, nel suo paese, la famiglia lo aspettava, amici e colleghi lo incitavano al ritorno. Niente lo tratteneva in quella piccola città a lui straniera.

— Ah! niente mi trattiene? - Fritz Langen