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Ermanno ripetè:
— Dove li tieni, mamma? Perchè non me li hai dati?
Vanna finse di andare in collera; spinse Serena fuori dell'uscio e minacciò Ermanno di gravi castighi se don Vitale si fosse lamentato di lui come faceva sempre.
Ma al cospetto di sè rimase sconvolta.
Dunque si vociferava sopra il suo conto? Dunque il secreto che, nella sua cecità d'innamorata, credeva sepolto fra il suo cuore e il cuore di Fritz Langen, correva le piazze e le vie di Orvieto, bruttando il nome dei Monaldeschi? Sposare Fritz? Quale assurdità! Egli era protestante, era straniero, già fidanzato da anni a una signorina di Colonia, nè Vanna d'altronde avrebbe voluto dare al suo bimbo un secondo padre, nè espatriare, nè cambiare il nome suo nobile con un nome esotico, che non riusciva nemmeno a ben pronunziare. Mai tra loro, sia pure nei momenti di più fervoroso entusiasmo, l'idea di un possibile matrimonio era sorta.
Vanna ripensava a ciò l'indomani mattina, allorchè Titta le portò il caffè.
Di solito egli deponeva il vassoio sopra un tavolinetto rotondo davanti alla signora, le augurava il buon giorno con ossequio, s'indugiava mezzo minuto a contemplarla con occhio colmo di sconfinata devozione, poi se ne andava, facendo scricchiolare tra le pieghe dei pantaloni troppo larghi le tibie delle sue gambe spolpate. Ma,