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Fritz Langen la chiamò per nome, spaventato.

— Vanna, Vanna.

Ma il sangue doveva farle gran ressa intorno al cuore, perchè la faccia era come senza vita: finalmente ella si riebbe, s'imporporò, gli occhi, diventati scuri, dardeggiavano per ira, e le labbra tremavano all'urto delle parole di sdegno ch'ella gli rivolse in una ribellione violenta di tutto il suo orgoglio offeso di patrizia, di tutta la sua profanata fede di cattolica, di tutta la sua dignità contaminata di donna amante.

Egli credè perfino che Vanna volesse batterlo, e restava inebetito, addolorato profondamente di averla offesa, e quando vide ch'ella fuggiva, l'afferrò, la tenne ferma, le si buttò davanti in ginocchio e, supplice, l'abbracciò ai fianchi.

— No, no, non fuggirmi, Vanna, e perdonami. Guarda, sono qui in ginocchio davanti a te, come tu stai in ginocchio davanti all'altare. Perdona. Io sono un barbaro, non ho le tue squisitezze. Perdona.

Vanna si lasciò placare e si mise a piangere. Fritz Langen, desolato, le suggeva delicatamente, a una a una, le lacrime dal ciglio, chiamandola con voce di rimprovero affettuoso:

— Dolce sciocchina, dolce sciocchina.

Da quel pomeriggio domenicale egli l'amò forsennatamente, e Vanna si lasciò travolgere, perdendo ogni scorta di prudenza, trascurando oramai, nel recarsi dall'amante, le cautele infinite