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Ella non era puntuale. Doveva aspettare che facesse quasi buio, doveva mandare Ermanno con Palmina da Domitilla Rosa e confinare Titta a pianterreno, doveva aspettare che i seminaristi avessero sfilato nella piazzetta, per essere certa che monsignore non le avrebbe fatto visita, e doveva assicurarsi che nessuno fosse a prendere il fresco davanti la botteguccia di Bindo Ranieri. Se poi incontrava qualche persona lungo il breve tragitto, le veniva meno il coraggio e mancava all'appuntamento. Ma che gioia, mio Dio! quando la porticina, difesa dal muro, si apriva pian pianino, richiudendosi subito, ed ella, trascinata per mano da Fritz Langen, attraversava a passi lievi il giardinetta odoroso e si trovava nel salottino pieno di fiori. Egli, ansando forte, se la raccoglieva sul cuore e non parlavano tranne che coi sospiri. La prima sete calmata, Vanna gli raccontava in lunghi bisbigli le sue ansie, le sue esultanze, i suoi terrori, le minuscole vicende della sua esistenza quotidiana, ed egli l'ascoltava gravemente, come si ascolta un caro bambino che si adora, che si accarezza e non si vuole che vada in collera. Le rivolgeva, nel suo idioma, una quantità di nomignoli vezzeggiativi. La chiamava: Schatz (tesoro), Mein Herz (cuor mio), Mein Liebling (diletta mia).
Ma il nomignolo che più di frequente gli saliva dal cuore e che meglio esprimeva il carattere del suo sentimento, era: Süsses Dummerchen, dolce sciocchina. Or accadde che la dolce sciocchina