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D'altronde la signora sarebbe rientrata verso l'imbrunire, e allora il signor professore avrebbe potuto interrogarla da sè.

Fritz Langen passò a due riprese, inutilmente, davanti alla casetta di Domitilla Rosa e, vedendo chiuse le finestre, chiuso l'usciolo in cima alla rampa esterna, sotto il breve portico, si domandava che cosa potesse mai fare monna Vanna, isolata per tante ore dentro quello stanzone, dove il letto di Domitilla Rosa pareva un trono, con la sua coperta di damasco, giallo e dove immagini innumerevoli di santi si allineavano intorno alle pareti. Pensò di picchiare all'usciolo e non ardì, poichè monna Vanna era squisitissima e dolce, ma niente affatto confidenziale. Si allontanò dunque, si spinse giù, verso la rocca, passeggiando senza scopo, impaziente, turbato, ossessionato dal pensiero di monna Vanna, ch'egli supponeva distratta e annoiata fra le sete e i ricami di Domitilla Rosa.

Forse ella, in quel momento, stava abbandonata sul letto di giallo damasco, col gomito appoggiato sopra i cuscini, la gota appoggiata sopra la palma, simile in atto a una patrizia romana, voluttuosa e ardente, nell'attesa di un console vincitore o di un poeta innamorato.

Un brivido lo percorse ed affrettò il passo, fermandosi poi all'improvviso, immoto per lo stupore. Egli si trovava nel centro della via, che si apre di faccia alla casetta secolare abitata da Domitilla Rosa, e uno spettacolo nuovo di vaghezza