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Certo, cose gravi succedevano, senza che nessuno riuscisse a precisare il carattere o l’entità delle circostanze.

Forse era giunto inaspettato, col direttissimo, un caporione socialista da Roma o una bandiera anarchica, rossa e nera, aveva spiegato forse i suoi foschi colori al sole gaio di maggio. Non si sapeva bene. I socialisti, che dovevano essersi raccolti alla spicciolata, perchè la sede loro in piazza del Cornelio era rimasta silenziosissima, entrarono in città dalla funicolare, a drappello serrato, preceduti da una fanfara, tenendosi in mezzo un giovanotto allegro, che si scalmanava a gesticolare. Nei pressi del teatro, il drappello si arrestò e un tumulto di voci, gridanti «abbasso, evviva» si diffuse per Orvieto. Le finestre furono chiuse con furia, quasichè una raffica di vento passasse, facendo sbatacchiare le imposte, e i portoni delle case vennero assicurati con grosse sbarre.

Che cosa stava succedendo, Signore Iddio?

Cose enormi, sicuramente, cose mai viste in Orvieto a memoria di uomo.

Due colpi di moschetto rimbombarono in aria, due squilli si udirono a intervalli lunghissimi, e l’echeggiare degli spari, l’echeggiare degli squilli passarono sopra i tetti delle case come il volo di arcangeli sterminatori.

Alle due tutto era quieto; nessuno era morto, nessuno era ferito, tre o quattro furibondi socialisti erano stati condotti alla caserma dei cara-