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le ire e seminando zizzania per amore di erudizione, per concedersi lo spettacolo di vedere le vie di Orvieto turbolente di uomini in armi, come ai tempi felici dei Monaldeschi e dei Filippeschi, dei muffati e dei mercorini, allorchè dall'alto delle torri pioveva la bollente pece, mentre in basso le torcie destavano incendi e gli uomini si azzannavano a guisa di mastini, e le donne, scarmigliate, o correvano nelle chiese ad abbracciare gli altari o incitavano con urli i vinti alla riscossa. Il vescovo, rivestito de' suoi paramenti, seguìto da tutto il clero, scendeva per le strade e invocava pace, pace, tra il clamore delle armi cozzanti e delle bestemmie!
Questo Fritz Langen avrebbe voluto rivedere, ed a tale scopo s'industriava del suo meglio.
— Vi scherniscono, vi chiamano conigli, lepri, montoni, castrati - egli diceva ai partigiani del Carroccio.
— Vi paragonano all'animaluccio di Sant'Antonio. Dicono che con le vostre orecchie di asino dovreste ripulir le vie che insudiciate coi vostri grifi - diceva ai partigiani del Lavoro.
Le parole di collera, suonavano smisurate da ambo le parti, ma di venire alle mani ancora non si vedeva il principio.
In mancanza di meglio, Fritz Langen, quella sera del trenta aprile, aveva invitato alla fiaschetteria di piazza del Cornelio, il Paterino, arrabbiato socialista, e Bindo Ranieri, cattolico per la pelle.
Sulle prime i due non volevano saperne di