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tramata una congiura per mettere il piede sul collo all'intera cittadinanza.
Naturalmente, non si conoscevano i propositi con precisione, ma, per il giorno del primo maggio, festa del lavoro, paurosi avvenimenti si andavano preparando.
Si vociferava di una dimostrazione, che doveva muovere da porta Romana e percorrere le vie principali; si giurava che i socialisti orvietani aspettavano rinforzi da Porano, da Bagnorea, da Cortona, perfino da Perugia; si bisbigliava che le vetrine dei negozi sarebbero mandate in frantumi, e svaligiate le case dei signori.
La sera del trenta aprile Orvieto mostrava dunque l'aspetto insolito di una città sopra cui la sventura sia piombata. I negozi erano socchiusi e i proprietari, insospettiti, si affacciavano a ogni poco, scrutando a destra e a manca; il Corso tortuoso, affollato sempre nelle prime ore della sera, in quel breve tratto che va dal Teatro Comunale a piazza Vittorio Emanuele, era deserto del suo vezzoso pubblico femminile e gli uomini o camminavano a gruppi, discutendo animati, ovvero stavano raccolti in capannelli con aria di cospiratori. Poco dopo le nove già tutto era silenzio e ciascuno si era appartato fra le pareti domestiche per attendere gli eventi dell'indomani.
Fritz Langen si divertiva inesauribilmente.
Amico dei giovani socialisti, amico dei giovani cattolici, anelava dagli uni agli altri rinfocolando