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— Te lo spiego, o Ermanno, magnifico signore - Fritz Langen disse con serietà faceta. - La mia città si chiama Colonia, perchè gli antenati de' tuoi antenati, i potenti romani, allora padroni dell'universo, lasciarono sulle spiagge del Reno un manipolo delle loro genti. E le genti moltiplicarono, fabbricarono case, innalzarono la cattedrale con tante guglie quanti alberi in una foresta, e le guglie della cattedrale servono di asilo alle cicogne.
Ermanno non comprese bene il discorso di Fritz Langen; ma tacque per potervi ripensare, e Vanna riportò quel giorno, nella solitudine melanconica della sua casa, la visione gioconda di una cattedrale immensa, tutta bianca di marmi, a specchio di un fiume azzurro, e nelle sporgenze smerlettate delle guglie innumerevoli, strani uccelli, immoti sopra le zampe sottili, gravi più di filosofi gravi nella uniformità dei lunghi becchi.
Gl'incontri si rinnovarono frequenti; ma senza alcuna premeditazione, per logica di spazio e di orario. Quando faceva buon tempo, Vanna usciva di casa dopo il pranzo e si recava con Ermanno a prendere il sole o verso porta Romana o verso porta Maggiore, dove la rupe, sulla quale Orvieto si erge, precipita a picco, rugosa e irta, a somiglianza di uno scoglio sul mare. Talvolta s'univa ad essi anche Serena, e i due bimbi si rincorrevano, mentre Vanna s'indugiava, procedendo lenta come se ella trascinasse un peso enorme dietro di sè.