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sacerdote faceva con naturalezza semplice, per puro amore della scienza, ch'egli coltivava ignorato in quell'angolo di provincia.
— Maledettamente! Maledettamente! - diceva spesso, quasi tra sè, Fritz Langen, mentre don Alceste, curvo accanto a lui su di un frammento a brandelli rosicchiati, ricostruiva i segni corrosi della bolla plumbea intorno alle irsute figure degli apostoli Pietro e Paolo.
Dopo il lavoro giornaliero, lasciati i morti per i vivi, Fritz Langen tornava ad essere lo scapigliato e geniale umorista a cui gli studenti dell'Università di Bonn avevano d'inverno elevata una statua di neve con la scritta: «Qui si scioglie Fritz Langen discendente di Heine».
Una domenica, verso le due, egli stava solo in piazza del Duomo a contemplare la facciata, dolcissima all'occhio entro il velo azzurrognolo dei vapori leggeri, che d'inverno fluttuano su Orvieto tra il cielo e la terra.
Serena, vestita di rosso, con un cappuccetto in testa ornato di pelo, gli si avvicinò e, tirandolo per la manica del soprabito, gli chiese ardita:
— Sei arrivato in Orvieto col piroscafo tu?
A suo giudizio tutti coloro che venivano in Orvieto dovevano essere arrivati col piroscafo.
Fritz Langen, che stava col viso rivolto insù e che teneva aggrottata la fronte in una intensità ammirativa, cambiò subito espressione di fisonomia e, inchinando con cerimoniosità comica la