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IGINIO UGO TARCHETTI


La storia del romanticismo milanese, o a dir meglio del romanticismo post-manzoniano — che col Manzoni ha ben poco a che vedere e ripete più direttamente le sue origini e le sue teorie dalla scuola di Francia — la storia di questo romanticismo è ancor tutta da fare.

Se si facesse, vedremmo sorgere una Milano tutta scomparsa ormai, una Milano assai più piccola, ma assai più intellettuale, vero focolare di coltura e di idee, grande nel pensiero come oggi la città cosmopolita lo è nell’azione e nelle industrie.

E dallo sfondo spiccherebbe fra le altre una figura ignota ai più, dimenticata da quasi tutti: la figura di Iginio Ugo Tarchetti.

Il Tarchetti era come chi dicesse l’Amleto di quella scuola romantica e di quella bohème di artisti e di letterati che aveva i suoi cenacoli nelle osterie suburbane della Milano scomparsa, ingoiata dalla vorace cosmopoli attuale.

«Vi sono coloro che vivono a sè, che si creano dei mondi per sè soli, che sorvolano su tutto e si posano su nulla: sono i fanciulli adulti, gli uomini con ali di farfalla, sono coloro che gioiscono e ridono. Ve ne sono altri che un’avidità irresistibile di sapere spinge a indagare ogni vero, che vedono tutto, che esaminano tutto, che discendono nelle più ascose profondità di ogni piaga, e sono coloro che soffrono e piangono.»

Così il Tarchetti scrive, descrivendo sè stesso.

«Un volgersi indietro a guardare ai brevi anni felici della fanciullezza e dell’adolescenza, e lamentare la gioventù ch’è già decrepitezza a trent’anni: un bisogno ardente di amore, e tormentarsi insieme sull’impossibilità di un amore che resti saldo alla prova del tempo e sia scevro di motivi e scorie sensuali, e raggiunga quell’ideale altissimo che di sè asseta l’uomo; un lasciarsi andar volentieri a pensieri di morte, e insieme la paura della morte e della tomba, quasi che in questa si viva ancora in qualche modo e si soffra; un barlume di soprannaturale ch’or appare or dispare; un Dio non mai risolutamente affermato, ora veduto, ora perso di vista; un disinteresse per la meschina realtà quotidiana in cui si agitano gli altri uomini, e insieme slanci di pietà e di affettuosità universale, e un rifuggire dalla giustizia, se giustizia deve esser durezza, e sospirare la vita semplice senza le complicazioni dell’ambizione: erano questi i termini tra i quali correva la vita intima del Tarchetti» (B. Croce).