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può recare fama e agiatezza ai letterati in Italia, io che aveva lottato sì a lungo con quell’istinto ribelle di dignità che mi aveva preclusa ogni via, e indarno sempre.... ora ero figlio di un re, e re io stesso, ed erede di un trono.

Non poteva prestar fede a tanta felicità, durai fatica ad accertarmene: affrettai la mia partenza, diedi un ultimo addio ad Elettra!..... (povera creatura!.... Elettra.... essa che mi aveva soccorso sì spesso di pane e di amore) e dopo tre mesi di navigazione, nel mattino del ventisette aprile milleottocentosessantadue, giungeva finalmente all’isola di Potikoros.

Alla distanza di alcune miglia, mi appariva come una vasta conca di fiori emergente dalle acque; alcune isolette disposte qua e là, attorno al mio regno, somigliavano a quelle foglie gigantesche di ninfe che si cullano sulla placida superficie dei nostri laghi: il cielo era alto, sereno, limpidissimo, e si tingeva curvandosi verso l’orizzonte, d’un colore abbagliante di croco e di cinabro: il mare giaceva calmo e maestoso; uno zeffiro profumato ne increspava leggermente la superficie come l’alito che appanna il velo d’una vergine. Innumerevoli stuoli di lire e di uccelli di paradiso s’inseguivano a volo nei punti più luminosi del cielo, e riflettevano i primi raggi del sole colle loro code di argento. Alcune rondini di mare, posatesi sulle gomene della nostra nave festeggiavano il mattino con un trillo vivace e armonioso. Nulla di più incan-