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essi, pure annuendo alle loro preghiere, presentarono a ciascuno di loro uno di quegli ornamenti, perchè dessero così la prima prova di sottomissione nell’usarlo.

Vanitosi e timorosi ad un tempo, gli altri europei esitarono, vacillarono, rifiutarono, e gli indigeni li trafissero colle loro freccie; ma mio padre che era uno spirito forte, brandì in aria il suo osso di balena, e gridando! viva l’isola di Potikoros, se lo infisse eroicamente nel naso. Le tribù indigene meravigliate a quell’atto, lo portarono in trionfo sui loro archi e lo elessero a Presidente della repubblica. Un anno dopo mio padre faceva un colpo di stato, e assicurava una corona alla sua dinastia. Quella corona gli era costata il naso, ma non tutti i re si conquistarono un trono a questo prezzo.

Io stava scrivendo un giorno una dissertazione sull’influenza del debito nell’equilibrio sociale, quando fui avvertito che una deputazione d’ambasciatori Potikoresi veniva ad annunciarmi la morte di mio padre e la mia successione al trono di Potikoros,

Tutti coloro che, come l’autore di questa storia, furono condannati al mestiere del letterato, — il pessimo dei mestieri — e giova sperare pel bene dell’umanità che sieno pochi — potranno immaginare la mia contentezza febbrile, mortale, e i trasporti forsennati della mia gioia. Io che aveva disperato sì spesso di me, che aveva sognato come la più gran meta possibile nella mia fortuna quello stato d’imbecillità di mente e di coscienza che sola