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e aveva dimenticato sul tavolo il vaso del veleno. Se ne avvide troppo tardi quando il medico se l’era già tolto in mano, e esaminandone le reliquie gli diceva:

— Che diavolo avete preso o signore? Chi è quell’asino di dottore che vi ha fatto una simile ordinazione? Oh la scienza! E c’è tanto da vergognarsene... siamo giunti davvero a un bel punto!... Quattr’oncie di conserva di prune coll’emetico! È una cosa orribile, un’ordinazione da cavallo!....

— È il signor Tricotèt, mormorò Rosen tra lo spasimo, un commesso di farmacia che....

— Il signor Tricotèt!.... diamine... ho trovato or ora il suo padrone, il degno farmacista Sapiston, che ne va in cerca per monti e per mari; egli ha ricevuto in questo momento una sua lettera in cui gli annunzia che parte oggi stesso per Parigi, e va ad acquistarvi una delle farmacie meglio avviate della capitale.

— Ah Tricotèt scellerato! disse Rosen, tenendosi il ventre colle mani, piccolo malandrino! giuro al cielo che io vo’ guarire a posta, rinunciare a tutti i miei progetti per andargli a strappare le orecchie a Parigi.

— Via, via, disse il dottore in aria di conciliazione, quel piccolo monello vi ha fatto uno scherzo di cattivo genere, ma la cosa non ha in sè nulla di conseguente, prima di domani sarete perfettamente guarito.

Venti giorni dopo questo avvenimento, Rosen ristabilito della sua malattia, prendeva con Lamperth la strada della capitale.