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«Grande serraglio di belve viventi del signor Gustavo Lachard. Due tigri, quattro pantere, una grande varietà di scimmie, un elefante, e due leoni africani. Alle ore otto vi sarà il pasto delle fiere. Mezz’ora prima il rinomato domatore Gustavo Lachard entrerà nella gabbia dei leoni.»

Rosen guardò l’orologio, erano le sette ore passate; mancavano pochi minuti alla rappresentazione. Egli si rivolse a Lamperth, e gli disse, indicandogli quel manifesto:

— Volete che andiamo a visitare questo serraglio? può essere che vi abbia a trovare qualche avventura favorevole a’ miei disegni.

— Andiamo, disse Lamperth, e giunsero in breve al recinto.

Dopo che il signor Lachard uscì dalle gabbie dei leoni, e la folla si ritirò a poco a poco e si disperse, Rosen disse al suo compagno stringendogli la mano:

— Credo, mio caro Lamperth, di aver trovato un modo infallibile per farmi uccidere; permettete che non vi dica altro; andate all’albergo del Ciclope dove fra un paio d’ore o mi rivedrete vivo, o avrete la notizia della mia morte. Vi raccomando la lettera per mia moglie.

— Non temete della mia puntualità — e si portò la mano sul cuore — mi dispiace di perdervi sì presto, ma se ciò è inevitabile... Vi auguro buona fortuna.

— Rosen, lasciato solo, chiese di parlare col signore Lachard, e trattolo in un angolo del recinto gli disse: