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d’una lettera per lei e dell’esatto racconto del mio fine.
— Ve ne ringrazio. Ove andate?
— Non ho direzione fissa... pensava di andare in Italia, ma quasi... E voi?
— Io pure non ho un piano premeditato, viaggeremo di concerto.
— Come vi chiamate?
— Benvenuto Lamperth.
— Siete un uomo che mi va a genio.
— Ve ne sono obbligato, e mi duole che vi abbia a perdere sì presto. Ma dove contate di sostare stassera?
— A Dover.
— Ecco appunto la stazione di Dover, disse Lamperth ascoltando il fischio della locomotiva; e avvicinandosigli, aggiunse a bassa voce: È un paese di litigiosi questo Dover, vi troverete a far qualche cosa di buono.
Così dicendo il convoglio si era arrestato. Rosen ne discese col suo compagno, si buttò con lui in una vettura, e si fece condurre al Chicken’s hotel (Albergo del Galletto).
Giunti in camera, egli disse a Lamperth:
— Tant’è, il morire è lo stesso che farsi estrarre un dente; dal momento che ci duole e che deve essere estratto è meglio che ciò avvenga presto che tardi; e giacchè voi mi dite che questo è un paese di accattabrighe, io conto di tentare in questa sera medesima qualche cosa di decisivo.
Rosen tirò il campanello, ordinò carta, penna e calamaio, e scrisse la lettera seguente: