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triste sera per Rosen. La posta era d’un migliaio di sterline: egli trasse di tasca un portafogli, ne tolse alcuni biglietti, e deponendoli sul tavolo, e indicandoli col dito, chiese: — carte!

Il banchiere ne diede tre a lui, e tre a sè stesso.

Rosen le esaminò spiegandole con una sola mano, che l’altra teneva costantemente nella saccoccia, e poichè l’avversario ebbe rovesciate le sue, disse: — perduto; e collocando nuovi biglietti sul vassoio, aggiunse: — raddoppio.

Gli furono date nuove carte, ma la fortuna tornò ad essergli sfavorevole. Il barone vuotò le sue saccoccie sul tavolo, e ripetè collo stesso suono di voce: — raddoppio.

Gli spettatori si radunarono in circolo; il giuoco incominciava ad assumere qualche interesse, e a scuotere in qualche modo quella loro natura impassibile. La fisionomia del banchiere appariva, benchè s’adoprasse a nasconderlo, visibilmente alterata: il barone di Rosen aveva rimessa una mano nella saccoccia, e coll’altra spremeva la punta del suo sigaro, cui non era ancora riuscito a dar aria.

Talora l’impassibilità nel giuoco può condurre a grandi risultati, ma talora anche non giova — la fortuna ha le sue predilezioni, e non le smentisce sì spesso, — in quella sera Rosen era predestinato — perdette ancora.

Successe un momento d’indugio; fu verificata la somma, erano trecento mila franchi. Il vincitore guardò il barone con uno sguardo