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che le mie povere orecchie ne erano letteralmente assordate. Il grido di: «viva il re che viene dal paese dei merli neri!» era ripetuto da tutte le bocche; e le dame Potikoresi specialmente lo strillavano con certe voci da soprano in modo da farmi rizzare sulla testa ad uno ad uno tutti i miei capelli reali.
Come Dio volle, noi giungemmo finalmente alla riva, ove mi soffermai un istante ad osservare gli apparecchi della mia incoronazione e i due eserciti schierati lungo la spiaggia. E qui non potrei dire l’impressione inattesa che provai alla vista del mio esercito. I Denti neri pei quali mi era sembrato che avrei dovuto provare un orrore insuperabile, avevano aspetto sì dolce, sì mite, sì affettuoso che mi sentii subito attratto verso di essi da una forza di simpatia irresistibile, mentre i Denti bianchi mi parvero d’indole sì ribelle, sì feroce, sì fiera che ne fui quasi atterrito.
Quei denti lunghi, affilati, bianchi, orribilmente bianchi, scoperti fino alla radice dal labbro un po’ rovesciato, acuminati e curvi verso la punta come i canini, parevano fatti per afferrare, per mordere, per lacerare la carne viva, palpitante — davano ai loro visi un’apparenza orribilmente ferina. I denti neri, pel contrario, tozzi, brevi, quadrati, bene incassati e coperti dalla gengiva, promettevano indole e tendenze sì mansuete, che avrei dato metà l’isola di Potikoros perchè il mio regno non fosse stato popolato che di quella razza.
Più tardi, quando rientrai nella vita privata, ho fatto delle numerose esperienze sul colorito