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tuttavia viveva; presentava un assieme di cose impossibile a dirsi, l’accoppiamento della morte e della vita, la rigidità, il nulla dell’una temperata dalla sensitività, dall’essenza dell’altra: le sue pupille che io sapeva essere state abbacinate con un chiodo rovente, erano ancora attraversate da due piccoli fori quadrati che davano al suo sguardo qualche cosa di terribile e di compassionevole a un tempo. A quel fatto si legavano delle memorie di sangue, delle memorie di un delitto a cui io avevo preso parte. Fra me e lui e la dama del castello correvano dei rapporti inesplicabili. Egli mi guardava colle sue pupille forate; e col gesto, e con una specie di volontà che egli non manifestava, ma che io, non so come, leggeva in lui, m’incitava a liberare la dama.
Una via scavata lateralmente nella rupe conduceva al castello. Una immensa quantità di projettili lanciatimi dai mangani delle torri m’impedivano di giungervi. Ma, strana cosa! tutti quei projettili enormi mi colpivano, ma non mi uccidevano — nondimeno mi arrestavano. Attraverso le mura del castello, io vedeva la dama correre sola per gli appartamenti coi capelli neri disciolti, col volto e coll’abito bianchi come la neve, protendendomi le braccia con espressione di desiderio e di pietà