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sentito sì meschino dinnanzi ad un uomo positivo, che non mi bastò mai l’animo di impegnarmi in una lotta qualunque con un nemico siffatto. Che cosa è egli un dotto, un letterato, un sapiente al confronto di ciò che noi chiamiamo un uomo di mondo? È pur poca cosa l’ingegno! Come gli uomini ignoranti, col loro buon senso borghese, grossolano, triviale ci avanzano nella scienza e nella pratica delle cose! Noi non facciamo che inciampare come fanciulli a tutti i più piccoli scogli della vita!
Questa coscienza della mia inferiorità aveva dunque reso meno frequenti le mie visite — io ho ora nella stessa città in cui abito conoscenza di famiglie che mi reco a visitare ogni tre o quattro anni, come tornassi da un viaggio di circonvoluzione attorno al globo — e più tardi, morto il padre di Silvia, che era delle persone della famiglia quella cui era più specialmente obbligato, ne aveva preso pretesto per troncarle completamente.
Era trascorso così pressochè un anno allorchè, pochi giorni dopo quella singolare comparsa del conte di Sagrezwitch al caffè Martini, m’imbattei in Davide che non aveva più veduto da quel tempo e che mi parve molto mutato.