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— A salutarlo! esclamammo noi sorridendo.
— Sì, a salutarlo.
— Oh! vorrei vederlo!
— Davvero!
— Vorremmo vederlo!
In quell’istante — potevano essere le due dopo mezzanotte — si aperse l’uscio del caffè, e un uomo pingue e tarchiato entrò nella sala. Al ritratto che ci era stato delineato poco prima, al berretto di pelo, alle mani calzate da guanti freschissimi, all’espressione singolare del suo volto, noi non tardammo a riconoscere in lui l’uomo di cui si era parlato. Allora, o fosse meraviglia, o fosse confusione di idee prodotta da quella sorpresa, ci alzammo unanimemente a salutarlo. Egli portò la mano al berretto con atto di cortesia schietto ma moderato, e si sedette all’altra estremità della stanza.
Io non posso esprimere la confusione, la meraviglia, il dispetto che s’impadronì di noi in quell’istante. Comprendevamo di esserci mostrati deboli verso di lui, verso di noi stessi, di esserci mostrati fors’anche ridicoli. Ciascuno era rimasto assorto in questo pensiero, nè aveva osato riprendere la parola. Il silenzio aumentava la nostra confusione.
L’incognito chiese una tazza di punch