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restata saldamente su questo. Ciascuno esponeva le proprie idee, ciascuno aveva qualche cosa a raccontare a questo riguardo. E come avviene ogni qualvolta ci affacciamo a questo mondo pauroso dell’incomprensibile e del soprannaturale, che se ne ride da principio per ostentazione di coraggio e si finisce coll’atterrirsi di ciò che si ascolta, e spesso di ciò che abbiamo raccontato noi stessi, ciascuno di noi si sentiva compreso da un sentimento misto di paura e di meraviglia, e si affannava a riannodare e a rinfocare la conversazione ogni qualvolta questa mostrava di languire, con quell’insaziabilità che hanno i fanciulli di ascoltare i racconti spaventevoli dei maghi e delle fate.
Avevamo pressochè esaurito tutto il repertorio delle nostre cognizioni su questa tesi, allorchè un vecchio artista da teatro che tutti noi conosciamo da tempo — una dalle cariatidi più celebri di quel caffè — si alzò da un tavolo vicino da cui era stato ascoltando, e venne a prender posto nel nostro circolo.
— Il signore ha ragione, diss’egli, accennandomi col dito. Io non conosco il giovine di cui egli ha parlato poco fa, e non posso far fede dell’influenza che gli attribuisce, ma che esistano uomini siffattamente fatali, anzi