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Egli era solo e non mi sembrava più nè sì triste, nè sì pensieroso. Vestiva un abito nero molto elegante, ma nulla dimostrava che fosse avvezzo a prendere gran cura della sua persona. Non so se fosse inganno mio, o allucinazione, e che altro, ma egli mi pareva straordinariamente bello, assai più di quanto mi fosse sembrato poche ore prima.
Vi era sul suo volto qualche cosa di luminoso, qualche cosa di quella trasparenza profonda, benchè torbida, benchè appannata, che ha l’alabastro. Egli aveva difatto la stessa pallidezza: a non guardarne gli occhi, a non esaminare la mobilità prodigiosa dei lineamenti, lo si sarebbe detto morto o impietrito.
I suoi capelli conservavano ancora quella finezza, quella arrendevolezza, quella lucidità, quell’arricciamento semplice e naturale che hanno i fanciulli; erano di un biondo meraviglioso, e lucevano come fili d’oro al riflesso delle fiamme dei candelabri. Teneva appoggiato il gomito al parapetto, e la guancia sulla mano: la sua testa così inclinata pareva ancora più bella. Egli aveva quella specie di bellezza che hanno le donne, e che ritrae dalla luce un prestigio misterioso e affascinante. A contemplare dalla platea — d’onde non si vedeva il resto della persona — quella
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