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quello stesso che l’incognito aveva accarezzato in mezzo a quel circolo, e a cui aveva regalato i confetti caduti sul suo mantello.
Per un moto istintivo diressi lo sguardo dalla sua parte, e lo scorsi nell’istante che usciva frettolosamente dalla sala. Il suo volto riflesso in quel momento da uno specchio che era di fronte a me, mi parve pallidissimo.
Io abbandonai poco dopo quel caffè in preda a tristi pensieri.
In quella sera stessa doveva aver luogo alla Scala una rappresentazione straordinaria.
L’opera annunciata era la Sonnambula, e il pubblico vi era accorso numeroso ad ascoltare quella musica divina, così piena, così complessa nella sua semplicità, così affettuosa. Si era rappresentata poco prima l’Africana — da Mayerbeer a Bellini la differenza almeno, se non la distanza, era ben grande. Il teatro era illuminato a giorno, la platea era stipata di uditori; e non v’erano altri palchi vuoti da cinque o sei all’infuori, posti tutti nello stesso punto; e in uno dei quali riconobbi con mia grande sorpresa il giovine che aveva veduto poco prima assistendo al corso delle maschere.