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— Mia buona amica, vedi quanto quest’U è terribile! rinunciavi, abbrevia o muta il tuo nome!... te ne scongiuro!
Essa non rispose, e sorrise.
Un’altra volta le dissi:
— Ulrica, il tuo nome mi è insopportabile.... esso mi fa male.... esso mi uccide! Rinunciavi.
Mia moglie sorrideva ancora, l’ingrata! sorrideva!...
Una notte mi sentii invaso da non so qual furore: aveva avuto un sogno affannoso.... Un U gigantesco postosi sul mio petto mi abbracciava colle sue aste immense, flessuose.... mi stringeva.... mi opprimeva, mi opprimeva.... Io balzai furioso dal letto: afferrai la grossa canna di giunco, corsi da un notajo, e gli dissi:
— Venite, venite meco sull’istante a redigere un atto formale di rinuncia....
Quel miserabile si opponeva. Lo trascinai meco, lo trascinai al letto di mia moglie.
Essa dormiva; io la svegliai aspramente e le dissi:
— Ulrica, rinuncia al tuo nome, all’U detestabile del tuo nome! Mia moglie mi guardava fissamente, e taceva.