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tinuare la lotta. Ma l’altro compagno venne a toglierlo da questa titubanza, che avendogli poste per di dietro le mani sul viso colle dita intrecciate a foggia di catena, e tirandolo a sè, e premendolo a tergo col ginocchio, lo rovesciò bruscamente sul terreno.

Luigi non vide, non sentì più nulla; per una proprietà di quelle costituzioni nervose e facilmente eccitabili, in cui la ragione resta agevolmente oppressa ed acciecata da una esuberanza di vita e dagli slanci delle sensazioni materiali, dimenticò Paolina e la sorella, non previde le conseguenze di quel fatto, prevedendole non le avrebbe forse temute: non pensò che a colpire e a difendersi, se pure lo pensava, giacchè in quelle circostanze non agisce il pensiero, ma l’istinto. Egli riuniva in sè una forza ed una agilità prodigiosa, onde i due assalitori avevano la peggio, e si dolevano tacitamente d’essersi impegnati in una lotta che non pareva ed era disuguale: più per l’istinto del dolore che per eseguire con esattezza il loro progetto si posero a chiamare soccorso.

Intanto negli intervalli di silenzio si poteva udire un rumore cupo e lontano, simile a quel muto incalzarsi delle onde in un seno di mare dopo una tempesta: eran grida di dolore soffocate, talora seguite da un tonfo, o troncate a mezzo da una caduta, un gemere compresso, un ansare affannoso; si vedeva un rialzarsi, un ricadere, un avventarsi, un agitarsi di petti e di braccia; ciò che formava uno spettacolo meraviglioso sullo spianato della via, dove la luna e i fanali riflettendo in un campo bianco quei corpi e quelle