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un giorno render conto di quella parte di beni e di felicità che hanno usurpata ai loro fratelli.

— E quando credete voi, che sarà per aver luogo questa resa di conti? disse Luigi sorridendo.

— Oh! non qui, non qui, rispose Marianna, io spero che non dubiterete d’una vita migliore.

— Me ne guardi il cielo, replicò il giovine ricomponendosi, ma voi vi crucciate di mali insussistenti, e poi non va bene questo dolersi tanto del nostro stato, il quale, valga il vero, non è poi molto cattivo.

— Sì, disse Paolina, parmi che noi siamo abbastanza felici.

— Nè io lo nego, proseguì la Mineu; io sarei per me stessa felicissima; ma forse che tale convinzione può estinguere la mia sensibilità, può rendermi indifferente ai dolori degli altri? può egli accadere che un uomo sensibile possa essere completamente felice? — E vedete come la società ha vòlto a nostro tormento questa dote più sublime dell’anima, la sensibilità stessa, da cui sembravamo riprometterci una serie di piaceri infiniti e dolcissimi.

— Basta, basta, disse Luigi, accettiamo la vita come ci vien data; vorreste voi mutare tutto quest’ordine di cose? vorreste che il principe coltivasse il suo campo come l’ultimo cittadino, e fare di tutta l’umanità una generazione di coloni? Benedetti quei vostri libri da cui attingeste delle cognizioni così singolari!... ma questo è un sogno, mia cara Marianna, uno stranissimo sogno, e io temo che voi siate ancora febbricitante.