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tevano certamente essere più tormentosi: ma possiamo noi rimediarvi, e non dobbiamo forse accettare questo stato di cose come è piaciuto al buon Dio di stabilirlo?

— Oh! non dite così, non dite così, Paolina: non vedete voi questi begli alberi, queste campagne, queste pianure così ubertose, e potreste credere che il cielo le abbia date in retaggio a pochi uomini, escludendo la più gran parte dalla comune eredità cui sono chiamati? Perché alcuni tra di essi dovranno consumare la loro vita in una tediosa inoperosità nociva agli interessi della grande famiglia, ed altri essere destinati ad un lavoro forzato, continuo, senza speranza di premio, non rimunerati almeno in ragione delle imperiose necessità della loro natura? Quale differenza tra il nobile ed il plebeo, tra il grande proprietario e l’operaio, tra l’uomo prospero e l’uomo mendico! E chi ha creato questi abissi di separazione tra un essere e l’altro, se non l’uomo stesso? Buon Dio!... non vedete come da tutti gli ordini, da tutte le leggi della natura, sembra emanare una continua sorgente di felicità per le sue creature? Quale bellezza in questo universo delizioso! Quale predilezione la Divinità ha dimostrato pell’uomo! Tutto fu sottoposto al suo dominio, tutti gli elementi furono da lui signoreggiati: le variazioni più incantevoli della luce, le modulazioni dei suoni, le mille gradazioni dei colori, le dolci voluttà dei profumi furono destinati per lui, come i prodotti della terra necessari alla sua esistenza materiale. — E se in ciò lo condannava al lavoro gliene donava l’istinto e gliene faceva una legge pel suo benessere, chè se le migliaia di braccia che