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sarebbe di che scoraggiarsi troppo sui nostri destini — ma Dio non paga il sabato.

— Voi non sapete, diceva egli al conte di F., e diceva il vero, voi non sapete quanto io darei per quella ragazza.

— Mi sono avveduto che l’amate seriamente.

— Seriamente! dite pazzamente, disperatamente, come un insensato....

— È strano in voi questo sentimento.

— Sì, strano, ne convengo: ma ne avete indovinato il motivo?

— Diamine! può esservene un altro per voi, tranne la sua bellezza, la sua gioventù, il suo buon naturale? ma ascoltate.... vi aggiungerei quasi la sua ostinazione.

— A meraviglia, interruppe il marchese, voi avete proprio colpito nel segno; è la sua ostinazione, il suo odio..., non vi pare, conte, che ella mi odî?

— Veramente non l’oserei asserire; ma che non vi ami, poi, non se ne può dubitare: è una fanciulla molto capricciosa cotesta, molto riservata, e si vede ben chiaro che si è data tutta a quell’artigiano.

Il marchese non rispose, ma fece schiattare coi denti la cannuccia d’ambra della sua pipa.

— Vedo ben ora, soggiunse l’altro sorridendo, che l’amate più seriamente di quanto immaginassi e....

— Non vorrei però che prendeste abbaglio sull’indole della mia passione.

— Come sarebbe a dire?

— Che mi credeste innamorato come un collegiale, o come un amoroso da commedia.