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la fava bianca e la fava nera | 187 |
e in mezzo a quei fogliami, a quei fregi d’ogni forma e d’ogni genere, erano di tratto in tratto, incastonati i pezzetti di frutti canditi, che fingevano, secondo il loro colore, diaspri, opali, topazi, zaffiri e ogni altra sorta di pietre preziose. Alla base di cadauna fetta era un mazzetto di fiori in rilievo, una specie di stucco zuccherino, eseguito con gusto e con industria impareggiabile. Le viole del pensiero, gli amelli, i fiori della memoria vi erano in più gran numero che ogni altro fiore; l’artista pareva aver voluto legare a quel suo capolavoro, destinato a formare la sorpresa e la gioia d’una pacifica riunione di famiglia, un sentimento d’amore, che incendiasse i cuori di coloro che avrebbero mangiato. E questo sospetto poteva trovar la sua conferma nel grandioso medaglione che occupava il centro della torta. Quivi, in mezzo ad una stupenda cornice di marzapane, un piccolo amore color di burro, cogli occhi fasciati da una benda di cioccolatta, trafiggeva arditamente, con uno strale di zucchero, due cuori di pistacchio tinti di rosso.
Dal giorno che il signor Paolo, superate col tempo e colla docilità esemplarissima le traversie della sua carriera, aveva ottenuto il grado di Capo-sezione al Ministero della finanze, ed era riuscito, mercè i suoi risparmi e la dote della moglie, a costituirsi una fortuna rispettabile per un vecchio impiegato in ritiro, un capitale superiore a centomila lire, aveva introdotto bensì qualche abitudine di lusso nella sua economia domestica, ma non aveva veduto mai sulla sua tavola una ghiottoneria di tal genere.
— Magnifica! diss’egli.