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la fava bianca e la fava nera 183


crede ai Re Magi in virtù dei confetti, doveva essere la regina; il giovinetto malaticcio, nipote di quel Teodoro, che è presentato ai lettori sotto l’aspetto poco lusinghiero d’una spugna, doveva essere il re. I due preferiti dalla sorte dovevano innamorarsi pazzamente, puerilmente e, dopo una serie di contrasti, scegliere di morire insieme e compiere l’ultima scena della loro tragedia cogli apparati d’una festa.

Credevo di doverne dire di più, e m’accorgo d’aver press’a poco ripetuto il già detto; tant’è; i lettori comprendono benissimo che il Tarchetti avrebbe potuto fare con questa tela meschina il suo capolavoro; io ne sono convinto, e so che egli se ne lusingava.

Nel mandare alla pubblicità queste prime pagine di ciò che doveva essere un libro, mi faccio scrupolo di lasciarle tal quali, anche colle picciole mende con cui sono uscite di getto dalle mani dell’autore; troverete il nome di un disegnatore mancante; io ne so dieci e potrei mettercene almeno uno, ma ogni lettore ne saprà cento e ci metterà il suo prediletto.

Del resto, queste pagine si presentano al pubblico meno come un lavoro letterario, che come un documento, e voi sapete che i documenti, per vantarsi fortunati, hanno bisogno di due cose: prima di tutto d’essere scoperti, e poi di non cader nelle mani d’un pretensioso, il quale, col correggerli, ne tradisca l’importanza o il successo, mettendoci del suo.

Salvatore Farina.