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paolina. | 175 |
bianchi di gesso, buttativi dai balconi, guardò il cielo.... era sereno, le stelle brillavano numerose.... egli comprese allora che la natura aveva vinto e che le sue lacrime stavano per prorompere. Ma così.... sulla via.... piangere sulla via! — perocchè egli aveva bisogno di piangere molto, di piangere fino a morirne: — si guardò tutto all’intorno, non vide alcuno: entrò sotto l’atrio di una porta, le cui grandi imposte aperte non erano tanto avvicinate alla parete che non vi potesse stare un uomo celato: egli si nascose in quell’angolo, vi si inginocchiò, vi pregò e vi pianse coll’abbandono di un fanciullo.
Alcune ore dopo nell’uscire s’avvide che era stato altre volte in quella casa, e si rammentò che un suo vecchio compagno d’infanzia, un pittore valente di paesaggio, vi abitava da lungo tempo una soffitta.
Il bisogno di confidenza e di conforto lo spinse a salirvi, e trovò quel suo amico intento ad affastellare alcuni oggetti in un baule e preoccupato da qualche idea profonda e tormentosa.
— Che? sareste voi in procinto di partire? gli chiese Luigi.
— Sì, disse l’altro, e per sempre. L’unico oggetto che mi tenesse ancora allacciato alla vita, mia madre, morì di stenti e di crepacuore in questa soffitta. Che devo io farvi? Non è della gloria che io cercava alla società: era pane, e mi fu rifiutato, perchè le arti e le lettere devono subire in Italia il destino delle povere fanciulle del popolo: devono prostituirsi per vivere.