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portare quella maschera che la società impone loro fino dall’infanzia, vogliono essere e parere quello che sono, e festeggiano questa apoteosi della verità con tutti i mezzi di piaceri possibili nella esistenza. Il carnevale è la pagina più vera di questa immensa epopea della vita sociale, e il carnevale di Milano è il periodo più splendido di questa pagina.

Oh le care follie di quel tempo! le avventure d’amore inattese, l’obblio assoluto del dolore, la dolce spensieratezza dell’avvenire.... egli è ben vero che venti anni non si hanno che una sola volta nella vita. Ma torniamo a quei giorni almeno col pensiero, torniamoci colla memoria, questo fuoco sacro che ne alimenta la fiamma dell’immortalità, e riproduce come attraverso ad un prisma meraviglioso le immagini sepolte del passato. L’obblio!... ah no.... l’uomo non lo dovrebbe desiderare: l’obblio è la morte, è il nulla. Ciascuno di noi, quand’anche non avesse che orribili patimenti a rammentare, si è composto come un idolo del suo passato, e spazia colla mente su quel tempo che dilata i confini della sua esistenza, e lo rende nell’immensità del suo pensiero simile ad un Dio. Oltre di che il dolore soltanto è veramente nobile e grande, e fertile di sommi ammaestramenti, e giustamente orgoglioso di sè stesso, mentre la felicità non è che una piccola e meschina cosa ed inadatta alla natura degli uomini.

Il Carnevale di quell’anno fu splendido ed animato più che nol fosse mai stato dapprima: vi si festeggiava l’annessione delle antiche Provincie, ed esse vi avevano pagato il loro