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del martirio non gli faccia portare con orgoglio le spine che gli sono rimaste della sua prima corona.

Ma gli accorti compongono la parte più numerosa della nostra grande famiglia, e i fiori della vita vengono raccolti a piene mani, e quelli sovra tutti, il cui profumo ha la virtù di asfissiare la coscienza, questo fantasma miserabile, questo bruco assiduo che li rode e li consuma, e quante volte sembra spento, rinasce, come le teste dell’idra favolosa a divorarli.

Il carnevale è la vendemmia di quei fiori.

Avete mai passato un carnevale a Milano? E sapete cosa è Milano? Come si vive, come si respira, come si pensa, come si ama, come si folleggia, come si soffre, come si piange in questa città, e per quale vie vi si entra nella vita pubblica?

I Milanesi sembrano aver sciolto il quesito se Epicuro sia stato il sommo dei filosofi e Democrito il più saggio degli uomini. La religione si è curvata d’innanzi ai loro costumi; il loro culto vacilla come briaco, perpetuamente oscillante tra l’osteria e l’altare, e i loro santi hanno buttato nel trivio il loro ramo di olivo per raccogliere un tralcio di pampino e farsene una corona da satiro. Bonnet avrebbe trovato qualche notevole specialità nella robustezza dei loro organi digestivi, e fors’anche qualche imperfezione nel loro viscere del cuore; ma gli anatomisti non furono che anatomisti; Lavater e Gall erano sognatori pedanti, e noi lasciamone il giudizio a qualche moralista imparziale.

Vi ha un’epoca dell’anno, in cui gli uomini vergognati di