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paolina. | 167 |
meravigliose dove aveva eletta la sua dimora. Non udite voi qualche cosa che assomiglia ad un bisbiglio sommesso, come la modulazione delle corde di un’arpa accarezzata dal vento? Egli vola e vola, irrequieto, agitato, incostante, lambisce le guancie della fanciulla, ne bacia il volto purissimo, si posa sulle sue labbra socchiuse, si tuffa in tutti i calici dei fiori della sua corona.... oh quella separazione è terribile! la povera anima non sa distaccarsi da lei; essa le rimarrà d’appresso fino alla sua dissoluzione, fino a che i fiori di quella sua corona di sposa non chiudano per sempre i loro petali avvizziti e disfatti. Oh! egli è un triste connubio quello che gli uomini hanno fatto della morte coi fiori. I fiori sono una cosa troppo pura, troppo leggiadra, troppo sublime per la terra, e Iddio non dovea crearne che per il cielo!
E vedete ora voi quelle forme incantevoli che direste scolpite da Fidia? quei contorni indecisi come di un oggetto tremolante in un raggio di luce? quelle chiome abbondanti e finissime, quel naso di vergine greca, quelle guancie intatte, quella bocca pura e riunita, come un bocciuolo non tocco ancora dalla rugiada, tutto ciò che avrebbe popolato i vostri sogni di mille visioni vertiginose, e la vostra vita di godimenti forse appena concessi agli immortali? — Ebbene, l’opera di pochi giorni basterà a dissolvere quella bellezza; sollevate allora quel velo che la nasconde, e vedrete spariti orribilmente quegli occhi che vi parlavano un linguaggio infinito, e il verme affacciarsi da quelle narici, la cui mobilità tradiva una natura voluttuosa e infuocata: