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paolina. | 163 |
sul suo letto, e dato un urlo orribile e straziante, ricadde inanimata sul suo guanciale.
Marianna ed Elisa si precipitarono sopra di lei, tentando di richiamarla alla vita colle loro lacrime, colle loro grida, colle loro carezze; ma era troppo tardi: una striscia sottile di sangue comparve sulle sue labbra illividite ad attestare che la crisi della sua malattia era compiuta. Allora Marianna svenne, e cadde accosciata sullo spazzo. Elisa sentì tutto l’ardore della sua gioventù, tutta la sofferenza del suo dolore lungamente represso, prorompere ad un tratto, e infuocare nella sua anima quasi virile la passione inebbriante della vendetta. Stette in forse di scagliarsi contro di lui e di contendergli una vita che aveva contaminata con mille delitti. Il conte la comprese, e volle prevenirla, dicendole:
— Diamine, se avessi saputo che era sua figlia!...
Elisa conobbe allora che il disprezzo doveva frenare la sua passione, e che a lei donna e madre non era concesso di appagarla.
— Sciagurato, gli disse, miserabile sciagurato; rammentatevi di Anna, di quella povera fanciulla ingenua e pura che avete sedotta, e poi uccisa col vostro abbandono. Costei, vostra figlia, quest’angelo è qui ad attestare col suo terribile silenzio come foste un amante ingeneroso, non meno che un padre snaturato e crudele. Ma se la giustizia degli uomini non può in alcun modo colpirvi, queste due vittime reclameranno contro di voi ad un altro tribunale a cui non vi potrete sottrarre. Andate, non offendete più oltre colla vostra persona questo santuario dell’amore e della sventura: