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dinate e interrotte, e il suo respiro, profondamente affannoso, lasciava presagire non molto lontano il suo fine.

Erano trascorse alcune ore, quando un rumore di passi sul limitare della porta fece trasalire le tre donne.

— Da ciò che ne disse madama Gioconda, debbono essere questi i suoi alti appartamenti, diceva una voce aspra e ben nota.

Paolina l’udì, rinvenne, si rialzò sbigottita e ricadde sul suo guanciale. Elisa le si avvicinò e le disse: abbiate coraggio, Paolina, abbiate forza, lasciate parlare a me, fate conto che non vi sia, e rimase così curvata sul letto, come per nasconderle colla sua persona la vista del suo seduttore.

Intanto il marchese di B. era entrato col conte di F. nella camera, e mentre si accingeva a dire: eccomi qua, che si desidera da me? dov’è questa malata? vide di profilo madama Elisa.

— Per il cielo! diss’egli, fregandosi gli occhi, parmi di conoscere quella donna; datemi per un momento il vostro pince-nez, caro conte.

In quell’istante Elisa si rivolse e rimase immobile e atterrita nel riconoscere il marchese. Si guardarono lungo tratto silenziosi: egli volle ostentare una indifferenza mal simulata, ma il sangue di quella donna le rifluì al viso, e sconvolse per un momento la sua ragione. Essa fece atto di avventarsi contro di lui, poi si trattenne e disse: — Non siete voi il seduttore di Anna, il finto duca di Saint-Aubaine? sciagurato, ecco vostra figlia!

— Mio padre! gridò Paolina rialzandosi convulsivamente