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riflessi bizzarramente dagli strati interrotti della neve che si scioglie, il silenzio e la mestizia di quell’ora aggiungono qualche cosa di lugubre e di solenne alla pace malinconica di quel soggiorno.

Paolina dorme, o almeno ogni suo senso è assopito, dorme di quel sonno violento che cagiona il dolore lungamente protratto. Marianna seduta al suo fianco la contempla, poi china il capo e pensa, a che pensa? I suoi occhi arrossati e socchiusi fanno fede delle molte lacrime che hanno versato. Una terribile sventura ha visitato la dimora delle due fanciulle: i loro volti si sono talmente mutati che noi restiamo atterriti nel contemplarvi le traccie così rapide di questa potenza smisurata del dolore. Egli è in fatto l’unica forza di cui la natura si giova per distruggere: non è il dissolversi della vita che crei ed apporti seco il dolore, ma è il dolore che precede ed opera la distruzione. Che se l’istinto della felicità non è alimentato che da quello dell’esistenza, che è dunque questo istinto se non quello della conservazione?

— Siete voi, Marianna? disse Paolina destandosi e rivolgendosi alla fanciulla.

— Sì, rispose l’altra chinandosi sopra di lei e baciandola sulla fronte; come state ora, come avete dormito?

— Ohimè! male, rispose Paolina; ho sempre il cuore che batte assai forte, parmi che esso urti nelle pareti del petto e che si sia tanto ingrandito da rendermi impossibile la respirazione.... ma che ora è adesso? siamo di mattina o di sera?

— Di sera, e sono tosto le cinque: guardate; e Marianna,