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quello spillo abbandonato sul tavolino il suo corpo medesimo, sformato, annerito, e impicciolito come quello della falena. Un senso di pietà e di amore l’attraeva verso quelle strane reliquie di sè stessa, oltre di che partivano da quel luogo certi lamenti dolorosi che le stringevano il cuore di compassione, ma le sottostava uno strato di aria mefitica, quasi viscida, e pesante come piombo, nè le sue ali potevano fenderlo, mentre al disopra di lei si distendeva un cielo azzurro e ridente, con un’aria profumata di fiori di loto, ma con alcuni baleni di luce così abbaglianti, che i suoi occhi ne rimanevano come abbacinati.

Così attratta verso la terra, e respinta per quella gran luce dal cielo, nello sforzo ch’ella fece per uscire dalla inazione, il suo sonno si ruppe, e si atterrì di trovarsi sola in quella camera e a quell’ora, perocchè le parve che dallo spiraglio della finestra trapelasse già un raggio di luce del mattino che si distendeva in una linea orizzontale sul pavimento. La fanciulla conobbe allora che l’illusione di quella luce nel suo sogno proveniva dall’essersi tutta consumata la candela, e averne accesa la carta a frastagli che l’assicurava nel candelliere, ciò che produceva una fiamma azzurra che si spegneva e si riaccendeva ad intervalli; ma quelle voci di lamento si udivano ancora quantunque più fioche, e parevano procedere dalla porta. Marianna trasalì, vi si avvicinò esitando, la schiuse, e Paolina le cadde tra le braccia.

Sono trascorsi ora alcuni giorni. È verso sera: una luce cupa e mancante illumina adesso quelle camere: le imposte socchiuse delle finestre respingono gli ultimi raggi del sole