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uno specchietto infranto che sembra ancora riflettere un viso pallido e gentile, cogli occhi neri, coi capelli neri, colle guancie pallide, leggermente rosate, col volto talora sorridente, talora soffuso di lacrime. — Qui era una bellezza da vendersi, là una bellezza minacciata, pericolante; là presso ancora, una bellezza già venduta: dove adunque il sorriso dell’innocenza temperato dalla sventura, dove la lotta già quasi perduta tra la seduzione e la virtù, e il pentimento anticipato, e anticipate le gioie dell’agiatezza, dove finalmente l’ebbrezza che soffoca, ma non uccide il dolore.

È un dramma terribile e spettacoloso, un capolavoro dell’arte, di cui sarebbe utile che la società si facesse spettatrice: e non avrebbe a dolersene: ogni attore vi rappresenta bene la sua parte, è una gara di zelo e di maestria, vi sono artisti di merito insuperabile, tutto è rappresentato al vero: vere le lacrime, vera la miseria, vero il sangue versato, vera l’innocenza posta a mercato, vero l’alto delitto impunito, ovunque la verità, viva, nuda, palpitante... Chi non applaudirebbe dalla platea?

Ed è una scena di questo dramma che io mi accingo a raccontare. Nel contemplare le rovine di quell’edificio, mi sovvenni d’un fatto commovente che vi aveva avuto luogo quattro anni prima, e che, come farò conoscere appresso, mi era stato narrato in uno dei molti negozi che popolano la via di Saint-Honoré a Parigi. Le circostanze tutte di quel fatto mi tornarono alla mente esattissime, e pensai che valesse la spesa di raccontarlo.

Non è che una povera storia la mia, una storia che io